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23 giugno
TORINO Cavallerizza Reale

HAMLETMASCHINE

di Heiner Müller
regia Annalisa Bianco, Virginio Liberti

con Gaetano D’Amico, Paola Lambardi, Sonia Brunelli
luci Simone Fini
scene Horacio De Figueiredo
suono Otto Rankerlott
video Leonardo Rigon
costumi Marco Caboni
voci François Tanguy, Laurance Chable, Frode Bjornstad
realizzazione scene Sonia Brunelli
direzione tecnica Simone Fini

produzione Egumteatro, Fondazione Pontedera Teatro, La Fonderie/Théâtre du Radeau, Regione Toscana, Comune di Abbadia San Salvatore - Assessorato alla Cultura

Ancora una volta. Ancora Hamlet. Ancora Muller. Ancora la bufera, il caos, il labirinto di una scrittura al limite del possibile. Hamletmaschine è un grumo, un concentrato, un meteorite pronto ad esplodere, pronto a presentarsi come enigma, pronto a sterminarci.

Ancora Muller. Ancora una volta. Le sue parole quelle frasi che creano una tessitura, una trama, una ragnatela. Ancora una volta. Egumteatro è lì. Imprigionato in quella ragnatela. Ma perché? Forse per guardare in faccia il dolore, la disperazione, lo smarrimento,la morte. Nessun filtro mediatico o artistico, nessuna masturbatoria poetica del dolore. Non può esistere poetica dove c’è il dolore. Non è possibile. Non è vero. Chi lo afferma sta bleffando. Non succede così. Il dolore non lascia spazio ad altro. Il dolore occupa tutto. E’ Tutto. Scompare il ragionamento, scompare l’identità, scompare lo spazio. Resta il tempo, la durata, tutto è lì: soltanto il dolore. Ma quando finirà?

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Ci sono tante ragioni per fare uno spettacolo teatrale. Hamletmachine, il nostro ultimo spettacolo, segna un momento preciso nel nostro percorso di riflessione. Per noi è finita una fase che potremmo definire di “raccolta dati”. Negli ultimi anni abbiamo affrontato con ogni spettacolo delle questioni che ritenevamo strutturali…. lontani e impermeabili alle mode e ai ricatti del mercato teatrale italiano abbiamo proseguito le nostre indagini. Per ogni spettacolo una questione da delimitare e su cui riflettere. Certe volte questo atteggiamento ha messo a rischio la fruizione dello spettacolo stesso. Ma non importa. Tra l’approfondimento e la confezione preferiamo la prima via. Comunque sia è finita la fase “c’è questa questione e quest’altra”… adesso non basta più individuare, elencare e presentare… dobbiamo cercare di affrontarle, di risolverle, di trovare delle vie d’uscite.

L’immagine che assomiglia di più al nostro percorso è quella della sovrapposizione, di un agire che disegna, cancella, e riparte da quello che è rimasto per poi fare un altro disegno che sarà nuovamente cancellato. Il risultato finale è l’accumulo, l’intasamento, la sovrapposizione di differenti gesti, di fallimenti, di paura di cancellare o semplicemente di stanchezza… fisica. Quando sei nel bel mezzo di questo agire tutto può aiutarti o annientarti. La cosa importante è cercare di tenere tutti i livelli di realtà.
La differenza tra Hamletmachine e gli spettacoli precedenti è propria questa: nel nostro ultimo spettacolo ci sono diverse questioni che abitano un unico spazio mentre in quelli precedenti un’unica questione si aggirava per diversi spazi. Hamletmachine è fatto di diverse realtà che compongono un unico e caotico luogo di azione… un ring.
Questo è un modo di procedere che a volta funziona e a volta meno. Non forziamo niente. Facciamo e osserviamo i risultati. Vogliamo vedere i mutamenti della materia sulla scena. Osservare come alcuni materiali tendono a andare verso il senso, a crearsi una storia mentre altri diventano pura intensità o vibrazioni. Facciamo e osserviamo. Senza volere convincere gli altri, non siamo dei predicatori, nemmeno degli artisti in carriera.

È facilissimo ingannare lo sguardo esterno. Basta creare continui effetti-scosse nei confronti dello spettatore. In questo senso molti spettacoli della ricerca italiana assomigliano a quelli del teatro di regia… vogliono, con strategie e punti di arrivo diversi, manipolare lo sguardo esterno. No! È troppo facile! Non vogliamo tenere in ostaggio la concentrazione dello spettatore, nemmeno per cinque minuti, vogliamo che lui si dimentichi di essere a teatro, che si dimentichi di avere davanti uno spettacolo, vogliamo che lui cancelli in questo modo la nostra presenza, lo spettacolo, la recita, l’estetica… ci auguriamo che lo sguardo esterno si distragga, che possa avere la possibilità di andarsene, di pensare ai fatti suoi. Non facciamo teatro per essere il centro del mondo ma per guardare il mondo. È diverso da quello che alcuni idioti vorrebbero che noi facessimo. Non riescono a capire che per noi il teatro è uno strumento per guardare altrove, una specie di telescopio o di microscopio. Guardare altrove… lontano. Non ci interessa continuare a dire agli altri “Guardate che bel telescopio… è fatto così… ha queste possibilità”… no… no e no! Non siamo in una televendita. Dimenticare il teatro e guardare il mondo, la vita, la propria vita, le sensazioni che ci invadono e che costruiscono la nostra memoria. Certo! Tutto questo è molto difficile da ottenere. Ci vuole una strategia efficace e molto precisa. E come abbiamo già detto, non sempre riusciamo a creare le condizioni per questa libertà dello sguardo. E meno male!

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