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3 luglio
GASSINO TORINESE Centro Primo Levi

L'ULTIMO NASTRO DI BECKETT

di Osvaldo Guerrieri
regia Osvaldo Guerrieri

con Mario Valgoi
e Olga Rossi

Samuel Beckett è alle ultime battute di vita. E’ malato. Il Parkinson gli impedisce di scrivere, le vertigini lo obbligano a non uscire mai da solo, per respirare è costretto a frequenti sedute di aerosol. Nella sua ultima casa parigina, in un pomeriggio di nebbia gelida, Beckett aspetta Billie Whitelaw, l’attrice che interpretò per prima a Londra Giorni felici. Mentre aspetta, fa una cosa che non ha mai fatto prima: accende il registratore e parla. Non rilascia una confessione né un testamento. Parla per parlare: di sé, della malattia, del rapporto col corpo che non obbedisce più ai comandi, del presente solitario e doloroso, ma anche del passato più lontano. Vengono fuori, attraverso le associazioni più imprevedibili, gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, gli studi al Trinity College di Dublino, l’amicizia con James Joyce, l’incontro con Alfred Péron, il parigino che fece nascere in lui l’amore per il francese, l’intellettuale che non solo tradusse “Murphy”, ma portò Beckett a Parigi, lo introdusse nel “milieu” culturale, lo indusse a entrare nella Resistenza. Nei suoi giri capricciosi, la memoria riporta a galla amori lontani. Il primo, per Ethna McCarthy, al College; l’altro, molto più complesso e contraddittorio, per Peggy Guggenheim. Inarrestabile, il flusso finisce per intrecciare esperienze di vita e esperienze d’arte, emergono come in controluce il lavoro drammaturgico e il senso di una ricerca che non ha avuto eguali. Che cosa è stato tutto ciò? Che cosa sono stati, alla fine di tutto, la gioia, le crisi religiose, i pericoli di morte, la povertà e la ricchezza, l’amicizia coltivata e tradita, l’amore illuso e deluso? Un gioco, dice Beckett. “Abbiamo tanto giocato”. E non importa se il gioco, a volte, è stato tragico.
L’ultimo nastro di Beckett unisce la precisione documentaria all’invenzione letteraria. Tutto ciò che viene raccontato è rigorosamente autentico, ma viene, per così dire, emulsionato all’interno di una situazione “ficta” che porta a una specie di travestimento biografico. Con la conseguenza che anche l’arbitrio e le forzature, anche le psicologie e le pulsioni più segrete, possono risultare più veri del vero.  (Osvaldo Guerrieri)

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