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VIII Edizione - 2003

Locandina VIII Edizione - 2003 Festival delle Colline Torinesi

14 giugno / 13 luglio 2003

Spesso le parole delle locandine, incrociandosi casualmente, ma non troppo, rivelano percorsi, tematiche, senso. Balza agli occhi, nel programma del Festival delle Colline 2003, che la compagnia di Rodrigo Garcia, autore prodigio della scena spagnola ed europea, si chiami "La Carniceria Teatro" e che lo spettacolo di Emma Dante, vera rivelazione dell'avanguardia italiana, abbia per titolo Carnezzeria. Carniceria, carnezzeria: cioè macello, quel macello che, di questi tempi, i nostri occhi vedono anche a palpebre chiuse, che le nostre narici fiutano nell'aria. C'è stata aria di macello in questo 2003, troppa. Proprio alla violenza che serpeggia, che avvelena rapporti umani e sociali, che a volte si trasferisce sulle tavole di un palcoscenico, dedicano il loro originalissimo impegno Rodrigo Garcia, che presenta lo spettacolo After Sun, ed Emma Dante non per esorcizzarla ma almeno per darne conto. La violenza che alligna nella sessualità, nei riti quotidiani, nella famiglia. Anche nella famiglia di Oreste che uccise la madre ed il patrigno rinunciando all'assoluzione di Atena, alla giustizia civile. Ce lo racconta, col suo ineguagliabile linguaggio, Testori in SdisOrè, collocando la reggia degli Atridi nell'amata Brianza, impastando la farina del grottesco con il lievito della tragedia. É lacerata l'anima dell'eroe dal "grande macello": egli diventa SdisOrè, Oreste diviso tra la vendetta e la catarsi. Rivive Eschilo in un baraccone da fiera nell'opera che Testori stesso diresse undici anni fa, poco prima di morire (è il decennale testoriano) e che ora Teatridithalia mirabilmente ripropone. Sono stati migliaia i macelli della storia, poche, come quella limpida di Antigone, le voci di dissenso. É un'eroina popolana l'Antigone di Ascanio Celestini, che grazie a Le nozze di Antigone ha vinto il Premio Oddone Cappellino 2002, con sullo sfondo il fascismo e la lotta partigiana, un'Antigone che alla fine sogna di sposare il padre Edipo e di riscrivere il mito, lei innocente travolta dalla guerra e dalla crudeltà del potere. Sempre la guerra è sullo sfondo di Iliade, progetto di Teatrino Clandestino nato dall'ossessione di materializzare l'inesistente, di dare corpo al sogno di Omero. La lotta tribale scatena la dialettica tra immagini cinematografiche e teatrali, parola recitata e danza, suono elettronico ed acustico. La volontà di "riscrivere", di liberare da tutti i ceppi immagini e significato è anche nel Progett-Othello di Michele di Mauro, il cui personaggio privato dell'appagante delirio bellico cade vittima di altri fantasmi e tranelli, tra Eminem e Shakespeare, la multimedialità e la parola. Parola che continua imperterrita ad essere strumento di dominio, di potere: lo dimostra La Tragédie du Roi Richard II di Paul Desveaux, giovane talento della regia francese. Pur non trascurando, nel suo allestimento, le immagini proiettate, immagini di ossessiva fissità, da microscopio, alla Cronenberg, egli esalta rispettosamente la sublime retorica del sovrano shakespeariano, che si rifiutò di leggere le accuse a suo carico ma non di confrontarsi con la sua figura riflessa allo specchio. Di figure riflesse, artificiali, vive il nostro tempo: sembrano dircelo anche Pippo Delbono e la sua straordinaria compagna con il loro Gente di plastica; "di plastica" nelle dinamiche famigliari, sociali, politiche. Una plastificazione che ci condanna alle angosce, a quel male di vivere che Sarah Kane, prima scintilla dello spettacolo, ha impietosamente cantato. E che Spiro Scimone e Francesco Sframeli mettono alla prova di una dirompente amicizia proponendo con Nunzio la storia di due emigrati, dalla quale è derivato il film che ha vinto a Venezia il “Leone del futuro”. L'amicizia unisce a sorpresa un operaio ed un gangster. Alla malavita che Brecht meglio di ogni altro ha saputo dipingere nella sua Dreigroschenoper fa riferimento, in modo scherzoso, ironico, popolare, lo spettacolo dei Marcido Marcidorjs Marilù dei Mar(cido) e l’Orchestra/Spettacolo degli stessi Mar(cido) in concerto, collage delle canzoni di Weill e Brecht, con Peachum e Polly, Jenny e Mackie Messer. Sulla malavita, sulla criminalità come interpretazione del mondo riflette Il caso Lombroso, performance di Massimo Popolizio dedicata all'antropologo veronese e soprattutto alla sua pericolosa pretesa di dare spiegazioni fisiche alla devianza. Malavitosi alla resa dei conti di una vita violenta sono anche quelli dello spettacolo Splendid's dei Motus che rendono omaggio a Jean Genet, autore più d'ogni altro avvinto dalla crudezza della vita, narratore di disperazioni, devianze, claustrofobie. Di claustrofobia soffrono anche tre sorelle ed un uomo malato chiusi in un'antica villa di Buenos Aires: personaggi di Donde más duele di Ricardo Bartís, un Don Giovanni vecchio ed i fantasmi delle sue donne come pretesto per indagare nella crisi dell'identità contemporanea. Una villa che certo non è più il luogo ideale dell'amore, ma solo dei suoi rimpianti. Quale sia il luogo ideale dell'amore lo cercano pretestuosamente i Blusuolo III nel nuovo lavoro Loulouloveyou, conferenza e performance ambientale di una compagnia che ama confrontarsi con luoghi metropolitani dismessi, con l'assenza, forse con gli echi di vite trascorse. Quelli che hanno ispirato ad Osvaldo Guerrieri il suo L’ultimo nastro di Beckett, singolare parallelo tra lo scrittore che più ha interpretato l'alienazione d'oggi ed i suoi stessi personaggi. Quel viaggio che Beckett compie nella coscienza il giovane drammaturgo francese Fabrice Melquiot lo compie, in Veux-tu? e Le Laveur de visages nello spazio e nelle geografie del mondo, quasi che noi tutti fossimo interpreti di un solo grande dramma, accovacciati su una sola grande giostra. Lontano dall'assordante fragore delle vite è l'ultimo testo, è l'ultimo spettacolo delle colline del Festival: Così attendo sereno la notte, omaggio a Padre Turoldo fatto attraverso una raccolta di liriche che il frate dei Servi di Maria consegnò alle stampe poco prima di morire. Non c'è più traccia di guerre, di violenze, di umane imperfezioni, solo l'attesa dolente di un'eternità non ingannevole, solo il silenzio tra parole sempre più rade.

Sergio Ariotti

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